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Allorchè un giorno chiesi a Dino Zoff un giudizio spassionato su Diego Maradona, campione dalle mille virtù e uomo dai mille vizi, il grande saggio del calcio mondiale mi rispose: “Intanto sarebbe sbagliato giudicare Maradona perché occorre soltanto prendere atto di chi è e di cosa rappresenta. Diego, per il mondo del pallone, è l’equivalente di Van Gogh nell’arte. Un genio allo stato puro. E i talenti naturali come lui sfuggono ad ogni classificazione e ad ogni regola”. Una frase del genere pronunciata da un uomo come l’ex portiere della Juventus e della Nazionale il quale aveva fatto della linearità e dell’onesta intellettuale i suoi fondamenti di vita, professionale e non, rappresentava il sigillo definitivo ad ogni possibile tipo di controversia sulla figura di ciò che è stato il giocatore più forte di tutti i tempi.
Dopo essere “morto” e dopo “resuscitato” per un incredibile numero di volte, Maradona potrebbe pertanto essere il personaggio centrale della canzone di Vasco Rossi il cui titolo, “Sono tuttavia qui”, simboleggia il signor tipo di “eternità” pure fisica contro tutto e contro tutti. Persino contro la logica del buon vivere. E se ci sta stato un momento in cui l’Argentina nello specifico si preparava a piangere per la consunzione e per l’autodistruzione di un’icona simile a quelle che furono Juan Peron e la sua compagna Evita, nella giornata odierna la gente di quel grande Paese non può fare altro che esultare. Perché Diego Armando Maradona, dopo quattordici anni di assenza e di peregrinare per il mondo, è tornato a casa.
Erano ventimila nello stadio del “Gimnasia” di La Plata ad attenderlo. Lui, il nuovo allenatore di una formazione finita in un tunnel per i risultati negativi collezionati nel corso degli ultimi anni, si è inchinato al suo nuovo popolo e ha promesso: “Sono qui insieme ai mie ragazzi per dare la vita pur di riuscire a tornare grandi”. Pure questa volta senza freni e senza senso della misura eppure come spesso accade sincero come un bambino. E’ questo Diego. E’ sempre stato questo Diego. L’uomo dei grandi proclami non per vezzo di boria ma perché sapeva che, in qualche modo, le promesse fatte sarebbero state mantenute. Perlomeno da lui e malgrado quella parte di mondo, codina e farisaica, che gli remava contro e che cercava ogni pretesto per crocefiggerlo. Ha scelto la provincia, Diego, per la sua ultima ed ennesima partita. Una formazione che, pur essendo la più antica di tutta l’Argentina, vive più di tribolazioni che non di gloria.
Maradona, pur zoppicando per vie di quelle ginocchia finite ancora sotto i ferri, ha scosso la sua criniera di leone invitando il suo nuovo popolo a seguirlo. Come ha sempre fatto, ovunque sia andato. Identico a quello di Napoli ove bastava una sua parola, detta dentro gli spogliatoi, per dare la scossa al gruppo e condurlo verso il trionfo. In questo modo fanno gli autentici re, pure se sono invecchiati e pieni di cicatrici per le mille battaglie sostenute e ad ogni modo vinte. Non è un caso che il ”logo” del Gimnasia di La Plata sia una corona con vicino un elmo. Avanti con un’altra guerra, Diego. Non piangere dunque Argentina, perché Maradona è tornato.
Image:Getty
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