Beppe Marotta, amministratore delegato area sport dell’Inter, è intervenuto in concomitanza della presentazione del nuovo libro di Marco Bellinazzo, ‘Le nuove guerre del calcio’. Fra i temi trattati, la possibilità di trovare nuovi format a livello europeo: “La Superlega è partita in modo embrionale, con parecchie squadre della Premier che si sono sfilate subito. Non è altro che un grido di allarme, nella giornata odierna con tre società rimaste, relativamente a concetti chiari: ricerca di sostenibilità, principalmente. Ma pure competitività, in uno scenario europeo ove i modelli diversi dalla Premier sono in imbarazzo, fatta eccezione per quello tedesco che ha delle regole molto particolari quanto alla proprietà: nel territorio c’è un connubio forte fra popolazione e società di calcio. Sono fenomeni che reggono tuttavia, mentre Italia, Spagna e Francia sono in grande difficoltà. Ma tutto ruota attorno allo spettacolo: se è scadente, non si va a vedere, vale nel calcio come nel cinema o nel teatro. Si paga il biglietto se c’è un coinvolgimento emotivo: la fede verso la squadra è un dogma, il vero tifoso ti sta seguendo pure se vai in C, ma la maggior parte dei tifosi sono quelli di seconda fascia, cioè quelli che vogliono essere coinvolti nello spettacolo. Dobbiamo cercare sostenibilità e un modello organizzativo in cui possono esserci pure degli investimenti stranieri, che sono necessari. Ma se i fondi arrivano è perché portano cassa: vuol dire che noi nella giornata odierna non ne abbiamo”.
Tuttavia i tifosi vogliono vincere.
“Ma dobbiamo ricordare cosa è la squadra di calcio. È un’azienda privata a interesse pubblico. Nessun cliente pressa le fabbriche di bottiglie d’acqua o di biscotti: nel calcio siamo soggetti a processi ogni domenica. E portano a due situazioni: negli anni ’80 e ’90 moltissime proprietà sono andate verso il dissesto, perché pressati dai tifosi non riuscivano a reggere e hanno venduto gran parte del loro patrimonio per tenere il passo. Nella giornata odierna se prendiamo cento tifosi e gli chiediamo se vogliono una formazione virtuosa ma quinta-sesta o una vincente ma con grandi problemi di bilancio, 90 su 100 direbbero la seconda”.
Tuttavia Milan e Napoli dimostrano che si possono coniugare le due cose.
“Questo fa parte di un processo culturale, al quale non siamo pronti. Non abbiamo la cultura della sconfitta: per noi è un dramma, all’estero non è in questo modo. Non a caso in Italia hanno vinto negli ultimi anni le squadre coi fatturati più alti”.
Image:Getty
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