Luciano Spalletti, il ct della Nazionale, si racconta per la prima volta in un’ricordi. «Il Paradiso esiste… Ma quanta fatica», in uscita nella giornata odierna ed edito da Rizzoli. Questi alcuni stralci messi in evidenza dal Corriere della Sera sul rapporto conflittuale con Aurelio De Laurentiis: “Ho chiuso con il passato, ma Napoli e i napoletani non saranno mai il mio passato. Sono andato via perché non avevo più la voglia di sostenere questo continuo conflitto caratteriale con un imprenditore capace, a cui la città deve tanto, ma con un ego molto, forse troppo grande. Aurelio De Laurentiis.
Il patron era ciò che metteva la ceralacca sulle cose, su tutto, che certificava se una scelta era giusta o meno. Ero stanco di fare battaglie per ogni questione. Che fosse dare una maglia ai calciatori che la chiedevano per i loro figli o il dover cambiare gli alberghi di continuo per i motivi più disparati. Pure in questo, il Sultano sapeva sorprenderci. L’uomo, si sa, è molto estroso. Imprevedibile. Capace di quel ragionamento in più che ti spiazza. Come quella volta, agli inizi della mia storia al Napoli. Il nostro albergo abituale era in corso Vittorio Emanuele. Arriva la Juventus e ci viene comunicato che abbiamo la necessità di correggere «casa». Uno sfratto esecutivo. Noi veniamo dirottati in un altro hotel in centro, scomodo per lo spostamento verso lo stadio, con i naturali dubbi che una mossa del genere può far nascere nei giocatori. Tipo ciò che sulle nostre abitudini comandino la squadra avversaria. Quell’anno, questo cambio forzato si verificò varie altre volte: avemmo a che fare con quattro-cinque strutture diverse. Insomma, in tutta la mia storia a Napoli, ho giocato due gare contemporanee: quella con la squadra avversaria e l’altra con il patron. Un confronto costante, molte volte al confine dello scontro.
La stagione dello scudetto, alla vigilia di una partita difficile, il patron mi scrisse, secondo lui per motivarmi: «Puoi andare dodici punti senza nessuno in testa, carica i ragazzi!». Aveva aperto il rubinetto dell’acqua calda. Gli risposi: «Grazie del prezioso consiglio, patron, ne terrò conto». Il suo amore per il Napoli, quell’anno, lo dimostrò in maggior misura allorchè cessò non solo di commentare le formazioni ma pure di parlare pubblicamente, ai giornalisti. Fu un silenzio che fece rumore. Il più grande sacrificio per uno come lui, intrattenitore e uomo di spettacolo che ama occupare il centro della scena.
Il Napoli stava marciando alla grande, giocava un calcio bellissimo e riconosciuto nel mondo, tutto filava alla perfezione e lui, uomo arguto come pochi, capì in fretta che tanta bellezza avrebbe trascinato altrettanta economia. Possiamo dire che il suo eroico silenzio, la sua scelta di non parlare con i media, fece il paio con la mia di vivere come un monaco nel rifugio di Castel Volturno. Due uomini molto diversi che facevano il loro voto di castità alla causa del Napoli. Ogni a modo suo.
Image:Getty
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