“Se investire 100 milioni fosse garanzia di successo, li metterei. Ne ho già messi 72 di tasca mia, Pianelli ha trovato il successo lo scudetto con 5 miliardi, dodici milioni di adesso. E allorchè sono giunto, ho fatto un aumento di capitale da dieci milioni”. Urbano Cairo, dopo avere messo in vendita il Torino pubblicamente qualche settimana fa, ha preso la decisione di rilanciare sull’incapacità di vincere. E in maggior misura su un altro tema importante che è quello economico: finora ha speso 82 milioni per il Torino – appunto i 10 milioni iniziali più i 72 che ha prospettato – ed è stato sempre protestato contro, senza mai andare a un passo da vincere qualche cosa. Questo perché gli altri spendono più di lui, oppure – più semplicemente – sono più bravi di lui, come Lotito, Percassi o De Laurentiis, tutti con risultati decisamente differenti rispetto a Cairo.
La discussione sull’opportunità di cedere o meno andrebbe fatta, ma quanto può valere il Torino? 130? 150 milioni? È chiaro che il limite si sia abbassato molto, in maggior misura dopo avere venduto Buongiorno e con un Ricci quasi scaduto 2026 che può valere una ventina di milioni per pareggiare il prossimo bilancio. Insomma, l’exit strategy appare chiara: se arrivasse una proposta importante, Cairo nei suoi vent’anni di presidenza ci ha guadagnato e ha avuto un ritorno di immagine decisamente importante.
“Il calcio, il suo sistema, la sua sostenibilità sono temi che hanno avuto, e hanno, un impatto diverso, molto, negli ultimi tempi, l’avvento dei diritti televisivi ha fatto saltare il banco…”. Questo è chiaro, perché ha portato verso l’alto gli investimenti da fare per migliorare. Ma Cairo non dice che di avere comprato il Torino dal fallimento o che gli orobici, nel 2010 da appena retrocessa, è stata pagata poco più di una decina di milioni. A questo punto, senza nessuna infrastruttura, potrà venderlo a cifre inimmaginabili, chiudendo un (ottimo) affare.
Image:Getty
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