Maglia azzurra indosso, la fascia da capitano ben salda al braccio sinistro, forte, come aggrappata. Cresta riconoscibile, invulnerabile agli agenti atmosferici, come spesso succede. Gli occhi lucidi. Il tempo di una sventagliata, dalla propria metà campo, che mette Callejon in porta, e in questo modo Milik in gol. In seguito, al minuto 73 di Napoli-Sampdoria, dello scorso 2 febbraio, Marek Hamsik consegna i gradi di leader ad Insigne e saluta per l’ultima volta lo stadio San Paolo. Standing ovation, la mano che batte sul cuore, una piroetta e un applauso ricambiato, rivolto al popolo che tanto lo ha amato. In seguito, il sipario, la Cina sullo sfondo. Un addio forse prematuro: dalla sua partenza il Napoli ha perso carisma, gioco e, in maggior misura, punti.
LEADER CERCASI – L’Hamsik 2.0 era un giocatore della fascia centrale del campo ideale, completo. Meno appariscente rispetto agli anni giovanili, con una capacità inferiore nel finalizzare e nell’inserirsi di prepotenza. Ma magnificamente compiuto, assoluto nella sua capacità di abbinare palleggio e verticalizzazioni. Geometrico nelle aperture, preciso negli appoggi e nel lungo possesso palla, regalo d’addio di Sarri. E in seguito capitano, collante sul terreno di gioco e nello spogliatoio. Guida, ogni tanto pure silente, di un team coeso. Il suo ruolo è stato molte volte sottostimato, forse per via di un carattere schivo, di una timidezza che ne ha oscurato meriti e importanza. Il capitano nella giornata odierna è Lorenzo Insigne: visceralmente legato alla maglia, certo, ma pure in contrasto con De Laurentiis per un rinnovo che non arriva, in seguito con Ancelotti per un utilizzo ritenuto non consono e, ultimo ma non per importanza, in un rapporto di perenne amore-odio con la piazza. Problematiche che, ora, rendono la differenza di leadership fra lui ed Hamsik evidente e condizionante per una formazione che troppo molte volte, a partita in corso e non, è sembrata incapace di rigurgiti d’orgoglio e reazioni di personalità.
MEDIA PUNTI INFERIORE – C’è oltre: dall’addio dello slovacco la media punti del Napoli si è sensibilmente ridotta. Lo scorso anno, nelle 13 gare giocate da Marek (12 da titolare, compresi i 24 minuti contro l’Inter, prima di un infortunio) gli azzurri viaggiavano a una media punti di 2,38 a partita. Più in generale, includendo nella considerazione tutte le partite disputate fino al famoso 2 febbraio, Ancelotti accumulava 51 punti in 22 gare: 2,31 a match. In campionato, dalla partenza di Hamsik, il Napoli ha giocato 23 gare, le 16 finali del 2018/19 e le 7 attuali: 41 punti accumulati, con media di 1,7 a gara. Non un crollo, ma sicuro una netta differenza. In negativo. E in Champions? Lo slovacco sempre titolare nell’ottimo ma sfortunato girone con Liverpool e PSG, tranne in un’opportunità: il pareggio con la Stella Rossa, che a conti fatti fu decisivo per l’eliminazione degli azzurri. Dati che sottolineano e marcano l’impatto tecnico ed emotivo di Hamsik sul Napoli.
ORFANI – Ancelotti in questo anno fatica a trovare il modo di definire. Parecchi esperimenti, troppi cambiamenti. Spicca in rosa l’assenza di un costruttore di gioco del livello di Hamsik: Elmas è promettente ma tuttavia acerbo, Fabian Ruiz rende meglio in altre zone della mediana o sulla trequarti, Allan ha altre caratteristiche. La vendita dello slovacco al Dalian fu pure pensata come viatico per l’esplosione definitiva di Zielinski, che tuttavia stenta ad arrivare. De Laurentiis ha molte volte affermato che è stato lo stesso giocatore a spingere per la nuova esperienza, comprensibile per il ricco stipendio che a questo punto percepisce. Hamsik è tuttavia un classe ’87, 32 anni appena compiuti: siamo sicuri che non fosse il caso di trattenerlo, con le giuste gratificazioni, per lo meno un’altra stagione? Forse Ancelotti ha sottovalutato la sua importanza ed adesso, parole sue, “la classifica piange”. Sarà perché il mare di Napoli è meno chiaro?
Image:Getty
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