Il pallone è lì, dentro c’è qualsiasi cosa: le emozioni, le ambizioni, le visioni oniriche e anche il rumore sordo di un’estate intera un po’ dolente. E basterà un dribbling per spingersi oltre gli echi, per lanciarsi nella favola, per avvertire l’estasi e eventualmente il tormento, e disperdersi in quest’oppio ch’è il football. C’è un passato che rimane, incastrato in quell’immagine incantevole della Grande Bellezza, ma c’è un futuro nel quale Aurelio De Laurentiis proietta se stesso e il Napoli di Ancelotti, senza avventurarsi in tunnel, in veroniche dialettiche, tuffandosi dentro ai propri pensieri e buttandoli lì, appallotolati, fino a renderli carichi di frasi ad effetto che riempiono l’aria: perché il calcio sia pure un diabolico gioco di parole, nel reparto avanzato o in contropiede. Palla fai tu.
Finalmente il calcio, quello giocato, si prende la scena: inizia un nuovo ciclo, patron. «Era difficile poter protrarre, dopo il triennio con Sarri. Io a maggio mi ero già mosso, ricordandomi che c’era Ancelotti libero».
L’ha sparata subito grossa. «E Carlo si è sentito gratificato dalla mia richiesta. Mi ha colpito la sua voglia di tornare ad allenare in un torneo che sta tornando ad essere competitivo con i migliori campionati d’Europa».
Che Napoli ha consegnato ad Ancelotti? «Faccio mia una frase di Carlo: non siamo in questo luogo per pettinar le bambole. Io sono un sostenitore di Ancelotti, non gli metto ansia, so che avrà bisogno di tempo ma che i tifosi smaniano, vogliono vincere: vogliamo vincere pure noi ma servirà pazienza».
La Juve è sempre più un colosso, l’Inter può diventarlo, il Milan ha messo mano prepotentemente. «E noi siamo gli stessi per il 90%, mentre tutte le altre hanno completamente cambiato pelle. La Juventus ha tirato la volata attraendo attenzioni sul mondo del pallone italiano e movimentando pure il mercato delle altre. So che l’Inter si è rafforzata, che il Milan mi fa paura perché Gattuso l’anno scorso ha studiato il calcio di Sarri, ma sarà il campo a parlare. La Roma è stata smontata e rimontata, non saprei valutarla: io Alisson non lo avrei dato via neanche per 100 milioni, per lui ne avevo offerti 60 e non hanno voluto cedermelo… Ma in seguito capii che sarebbe andato al Liverpool…».
Quale fu l’indizio? «Io ho sempre il dubbio che il vero proprietario del Liverpool sia pure quello della Roma, un uccellino me lo ha detto nell’orecchio qualche anno fa. E se fosse in questo modo – cioè con una proprietà condivisa – non potrebbero fare la Champions».
Fonte:CorSport
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